lunedì 15 febbraio 2010

TORINO MAGICA (PARTE 3°)

Sorge su una delle strade più centrali di Torino, in tempi passati Via San Carlo fino al 1849, quando il Consiglio Comunale decise di dedicarla a Vittorio Alfieri, che vi dimorò, ricordandolo con una lapide sulla facciata della sua abitazione, la prima a destra giungendo da Piazza San Carlo. Palazzo Trucchi di Levaldigi, da sempre associato a tradizioni diaboliche, è una costruzione imponente fatta erigere nel 1673 su disegni di Amedeo di Castellamonti. Trucchi fu un personaggio politico con numerosi incarichi, tra cui quello di Ministro delle Finanze, conte di San Michele di Mondovì, di Levaldigi e barone della Generala, una villa principesca da lui stesso costruita.Il portone è stupendamente intagliato nel legno, adorno di frutta, fiori, cupidi e varie simbologie.Quel che più affascina è il batacchio, posto al centro dei battenti sempre perfettamente lucidato, raffigurante il Diavolo sogghignante che scruta i passanti.Difficilmente si può dare una motivazione del perché sia ora conosciuto come “Il palazzo della porta del diavolo”, se non per il batacchio, anche se i battenti del portone si spalancano su un palazzo che trabocca di misteri e leggende che ormai si consolidano con il passar del tempo.Nell’anno 1790 nel palazzo, che appartenne per un breve periodo di tempo a Marianna Carolina di Savoia, fu preparata una festa durante il carnevale con orchestrali, danzatrici, artisti; al fondo di una sala era raffigurata una scena infernale, le danzatrici coperte di minuscoli abiti ballavano tra le fiamme, dimenandosi come invasate simboleggiando le anime dannate.Un ricevimento mondano sconvolto dal grido di una ballerina, tale Emma Cochet, ma alcuni la indicano con il nome di Vera Hertz, che si accasciò pugnalata mortalmente.Le ipotesi furono molte, tuttavia il colpevole non fu mai identificato e neppure l’arma venne mai ritrovata.Scrisse Alberto Fenoglio”:“Quasi fosse un segno di riprovazione del cielo per il delitto, si scatenò sulla città, benché non ne fosse la stagione, una tempesta notturna impressionante in cui la pioggia scrosciava violenta, i lampi si susseguivano quasi ininterrottamente e il tuono accompagnava il temporale con un frastuono così forte che tremava tutto il palazzo.La tragedia aveva fatto scendere un velo di gelo, di mestizia e anche paura su tutti, ma la gran paura esplose quando venne un lampo accecante seguito immediatamente da un rimbombo tremendo, fragori di vetri infranti, un soffio gelido, violento che spazzò il salone e spense tutte le luci, determinando il panico e una precipitosa fuga degli invitati”.Non passò molto tempo che alcuni “testimoni” videro passeggiare un fantasma; evanescente scrutava le persone per poi scomparire attraverso i muri.

Un’altra storia ammanta di mistero le mura di Palazzo Levaldigi, quello della scomparsa di un ufficiale durante la dominazione francese del 1917.E’ ancora Fenoglio a raccontare il fattaccio:”Il maggiore, che si chiamava Melchiorre Du Perril, si recò dal capitano Girare, cui toccava provvedere al servizio di sicurezza, per mostrargli un biglietto contenente minacce, appena ricevuto, e chiedergli una scorta che lo “coprisse” proteggendo la sua persona, mentre stava per mettersi in viaggio con documenti top secret.Mentre gli preparavano una carrozza, egli consumò una veloce colazione. Nella strada, il postiglione, impaziente, era in attesa di partire.Dopo quasi un’ora scese per andare a vedere perché il militare si attardasse.Sulle prime gli dissero di aspettare ancora, perché Du Perril si stava preparando, poi due militari vennero ad annunciargli che non lo trovavano da nessuna parte.“Nel palazzo pare non esserci. "Non l’avete per caso visto uscire?”, gli domandarono.Il postiglione sbalordì:”Certamente no, l’avrei notato”.”Una ventina d’anni dopo quell’inspiegabile sparizione, alcuni muratori, durante l’esecuzione di lavori nel palazzo, abbattendo un muro rinvennero in una intercapedine lo scheletro di un uomo alto e robusto che era stato sepolto in piedi e trattenuto da due muriccioli laterali.Il cranio presentava una netta frattura. Fu prospettata l’ipotesi di un intrigo internazionale, ma ormai era trascorso troppo tempo perché sulla vicenda si potesse fare luce. Si racconta inoltre che una notte un incauto apprendista stregone non si accontentò di invocare i soliti spiriti amichevoli, ma si spinse a chiamare il signore delle tenebre, Satana.Il diavolo, disturbato dall’invocazione, decise di punire il responsabile. Al mattino, i passanti trovarono l’ingresso del palazzo sbarrato dal pesante portone che era comparso dal nulla, dietro il quale il proprietario dell’abitazione era irrimediabilmente imprigionato. Credenze popolari o misteriosi fatti senza una risposta?
In ogni caso, resta il fatto che il “Portone del Diavolo” è sopravissuto al passare del tempo, alle guerre e rimane un’opera d’arte d' immensa bellezza, tanto che il quotidiano, “Usa Today”, in un servizio dedicato a Torino ne pubblicò alcune affascinanti immagini.

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